Ho ucciso Giovanni Falcone by Saverio Lodato

Ho ucciso Giovanni Falcone by Saverio Lodato

autore:Saverio Lodato [Lodato, Saverio]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788804558422
editore: Mondadori
pubblicato: 2006-07-14T22:00:00+00:00


VI

Come hanno ucciso Borsellino, come ho ucciso Ignazio Salvo

L’opinione pubblica è convinta che chi ha ucciso Falcone abbia ucciso anche Borsellino. La strage di Capaci e quella di via D’Amelio furono talmente ravvicinate che è difficile pensare che gli autori non siano stati gli stessi. Bene. Non conosco con precisione i nomi di chi ha eseguito l’attentato di via D’Amelio, anche se mi risulta un nome in comune, quello di Salvatore Biondino, l’autista di Totò Riina.

Sto toccando un argomento molto delicato. Ci sono conclusioni processuali che non possono essere facilmente messe in discussione e non ho intenzione di entrare in polemica con nessuno. Affinché non ci siano equivoci, esporrò solo le mie opinioni.

Se dobbiamo discutere sotto un profilo processuale, io non mi ritengo responsabile per avere preso parte alla strage di via D’Amelio, ma solo di esserne stato uno dei mandanti. Se, invece, discutiamo da un punto di vista morale, sono responsabile come tutti gli altri, perché ero perfettamente al corrente di tutti i progetti di morte di Cosa Nostra nel 1992. Compreso quello di eliminare il giudice Paolo Borsellino.

Non fui chiamato da Totò Riina a fare parte della squadra perché lui sapeva che c’era già un altro gruppo che se ne stava occupando. E anche perché in quel periodo ero «operativo» nel trapanese: stavo lavorando per Cosa Nostra a Mazara del Vallo. Lo chiarisco perché c’è qualcuno che ritiene che io voglia sottrarmi alle mie responsabilità.

Dopo l’uccisione di Falcone – e di questo ho già parlatol – a mia latitanza, iniziata nel palermitano, era continuata nella provincia di Trapani. E da qui che si deve partire. Ad Alcamo era in corso un’autentica guerra di mafia: Vincenzo Milazzo, «capo famiglia», era al centro di critiche e lamentele da parte degli altri «uomini d’onore» della zona perché si era messo a parlare male di tutti noi, di Totò Riina e di mio padre Bernardo.

Feci rapporto a Riina sulla situazione. Gli spiegai che Milazzo si comportava molto male, che non era più quello di una volta, e che c’erano forti riserve nei suoi confronti. Ma lui, per i fatti suoi, qualcosa l’aveva già sentita e consultò gli altri «uomini d’onore» del territorio per prendere una decisione comune.

Il giudizio fu concorde: Milazzo era diventato una mina vagante. Aveva intascato soldi non suoi, che provenivano dalle estorsioni, e si era messo in testa di fare le scarpe a Giuseppe Ferro, che era diventato un fedelissimo dei Corleonesi. Andava, dunque, eliminato. Era la metà del luglio 1992. Qualche giorno prima della strage di via D’Amelio.

Gli avevamo dato un appuntamento al quale lui, che non sospettava nulla, si presentò. Gli sparammo appena scese dalla macchina. Eravamo io, Gioacchino La Barbera, Gioè, Matteo Messina Denaro, Enzo Sinacori, Andrea Mangiaracina – «uomo d’onore» di Mazara -, Giuseppe Ferro, Gioacchino Calabrò e Leoluca Bagarella. Lo sotterrammo in aperta campagna.

Non era finita. La sera dopo l’attentato ci mettemmo subito alla ricerca di Antonella Bonomo, la sua convivente che in quel periodo era incinta. Si pensava che conoscesse tutti i fatti



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